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L’interna fioritura e deperimento del ciclo femminile, che rendeva le donne ricettacolo di fertilità e sterilità, di vita e morte regolarmente alternate, rispecchiava il succedersi costante dei tempi della Natura, delle stagioni e, soprattutto, delle età della Luna.
Dolce sorgente femminile d’acqua e di sangue, la Regina del cielo è, sin dall’inizio del tempo, la Guardiana del sacro ritmo terrestre che genera il mutamento perpetuo; governa e scandisce, in un divino connubio di luce ed ombra, il profondo contrarsi del sotterraneo utero primitivo, insegnando a seminare e a raccogliere, a tagliare e lasciar crescere, a creare, in un divampare ardente di vita, e a covare l’ispirazione nel tiepido ventre oscuro.
Da questo ritmo divino, dall’oscurarsi e schiarirsi della Luna, dal loro sangue mestruale, le antiche Donne apprendevano la natura del Ciclo perpetuo, del Tempo e della Misura. In armonia con essi, danzavano splendidamente e le loro movenze riflettevano l’armonia delle acque nascoste, delle maree e, più di tutto, della loro amata Luna, che da sempre vegliava su di loro e splendeva nei loro occhi. Luna che è Donna, così come la Donna è un suo sublime raggio d’avorio, disceso e fiorito sulla Terra.
Vivendo e conoscendo la Grande Madre come generatrice del divenire e conservatrice del suo stesso nucleo di luce perenne, esse comprendevano la loro similitudine con Lei e capivano che tutto ciò che avevano bisogno di conoscere era già presente in loro stesse sin dalla nascita. Così si osservavano e si scoprivano lentamente, sostavano in silenzio sul limitare dei ruscelli, sotto l’ombra degli alberi ricoperti di muschio, accanto al fuoco delle loro abitazioni… si osservavano, si ascoltavano… e Sapevano.
I loro antichi e splendidi riti riposano in un tempo passato. Forse qualche anziana dallo spirito antico, che nonostante il lento degenerarsi dell’umanità esiste ancora, ne conserva il ricordo e lo preserva segretamente, ma di fatto poco di conosciuto è rimasto qui, per noi che cerchiamo.
Eppure quel poco che è sopravvissuto, proveniente soprattutto dalle tradizioni dei Nativi Americani, è tuttora ricco di magia ed amore tanto grandi da far salire agli occhi qualche lacrima solitaria, memore di una qualche strana nostalgia che qualcuno prova ancora in fondo al proprio cuore.
Uno dei riti che abbiamo la fortuna di conoscere, probabilmente di origine molto antica, è quello che la tribù dei Kuna, dell’istmo di Panama, celebra per le fanciulle che versano il loro sangue per la prima volta.
Come in moltissime altre culture il rito è compiuto ed assistito dalle anziane, ovvero da coloro che hanno vissuto tutte le fasi della vita femminile e che pertanto possiedono la più alta saggezza.
Queste fanno sdraiare sul suolo nudo la giovane donna e, sedendo in cerchio intorno a lei e fumando, le lanciano addosso della terra per ricoprire il suo corpo. Mentre fumano le Donne intonano i canti sacri ed invocano la Dea Mu, protettrice dei Kuna e generatrice del Sole, della Luna, delle Stelle, degli animali e di tutta la lussureggiante vegetazione.
Dopo essere stata “sotterrata”, la ragazza si scuote via dal corpo il terriccio e le anziane le cospargono il viso col succo purpureo di una pianta chiamata Saptur. Questa pianta cresce in una caverna poco distante dal luogo del rito; una caverna in cui sono seppelliti i morti della tribù. La sua linfa rossa si crede che sia il sangue mestruale di Mu.
Dipinta di rosso, la giovane è quindi pronta per entrare nella sacra capanna di Inna, dove viene celebrato il rito d’iniziazione, e qui le vengono tagliati i lunghissimi capelli.
Come cadono a terra i capelli, ciocca dopo ciocca, così la fanciulla lascia cadere la propria infanzia, della quale si è definitivamente spogliata. Ella la dona a Inna e accede ad una nuova fase della sua vita, divenendo donna.
In questo bellissimo rituale sono presenti molti temi simbolici che richiamano la morte e il passaggio a nuova vita. L’albero dal succo di porpora cresce in mezzo ai morti, eppure rappresenta il sangue di Mu, il sangue della vita, della fertilità, della bimba che da vergine diventa donna in grado di procreare; l’essere ricoperte di terra evoca la sepoltura che si dà ai defunti e segna la fine, il sotterramento di un vecchio modo di essere da cui la fanciulla si purifica, poiché il passaggio deve essere accettato, così come ciò che ne consegue. Anche il taglio di capelli rappresenta la morte di una parte dell’essere e l’accesso ad una nuova condizione interiore ed esteriore.
L’usanza di tagliare i capelli in occasione dei riti di passaggio era piuttosto comune in molte parti del mondo e indicava la transizione da uno stato all’altro, il mutamento e la trasformazione che portavano la persona ad abbandonare la sua vecchia identità. Completamente rasato, inoltre, il capo assomigliava sia ad un teschio che alla testa di un neonato e questa immagine rafforzava ancora di più la connessione con la morte e la rinascita, incoraggiandole entrambe.
Attraverso il menarca la fanciulla viveva un vero e proprio viaggio nell’oltretomba, per uscirne rinnovata e per rendersi sacra agli occhi delle sue sorelle e della divina Mu.
In alcune tribù di nativi americani la donna che sta vivendo i suoi giorni di sangue possiede un grande potere poiché è direttamente connessa con l’energia primordiale della Grande Madre.
Gli stessi nomi con cui, in tutto il mondo, veniva –e forse viene tuttora- definito il flusso femminile richiamavano sempre qualcosa di magico, misterioso e molto potente.
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